Eccoci arrivati alla conclusione del ciclo dei moschettieri. L’ultimo intenso, epico capitolo di una storia di amicizia e intrigo indimenticabile. Il Visconte di Bragelonne è talmente intenso che risulta davvero difficile parlarne. Un romanzo così denso di personaggi e di storie da risultare certe volte persino esagerato, deliziosamente barocco, epico nei suoi melodrammi e nell’addio che racchiude.
Ma andiamo con ordine. Sono passati all’incirca dodici anni dall’ultimo episodio, Vent’anni dopo. Ancora una volta ritroviamo un D’Artagnan frustrato per la mancanza del titolo che rincorre da troppo: quello di capitano dei moschettieri. Accantonati i cardinali e le reggenti, si ritrova alle prese con un giovane re, Luigi XIV, ancora acerbo, già circondato da quel barlume di magnificenza destinato a renderlo grande, ma che ancora non riesce ad apprezzare a pieno il saggio e coriaceo ufficiale guascone.
Così, il sempre impavido d’Artagnan, dopo la visita del disperato Carlo II, decide di lasciare la Francia per rincorre un’ennesima avventura e riparte per l’Inghilterra nel tentativo di riuscire là dove lui e i suoi amici avevano fallito anni prima.
Dopo un episodio in cui ancora una volta viene esaltata tutta la passione di questo indomito spadaccino, dopo dialoghi esilaranti su casse in cui vengono rinchiusi generali inglesi, e dopo l’ennesimo inaspettato incontro con un Athos sempre pronto a servire le corone cadute, si ritorna in Francia dove, finalmente, re Luigi investirà d’Artagnan del titolo di capitano.
In Francia gli alberi degli intrighi sono in fiore: Dumas ricama uno scenario ricco di trame e sotto trame, di ingarbugliate passioni e cupe incomprensioni che avvolgeranno il lettore in un vortice senza tregua.
La prima trama che destinata a rapirci è senz’altro la storia di Raoul, visconte di Bragelonne, per l’appunto. Il figlio di Athos dimostra di avere gli stessi principi nobili e lo stesso animo cristallino del padre. Innamorato da sempre di Louise de La Vallière, è legato a lei da un amore così puro da sembrare quasi angelico, etereo. Louise è tanto giovane, innocente e inesperta, che sembra quasi rincorre solo l’idea di un amore ideale, piuttosto che una vera passione terrena.
Ma andiamo con ordine. Sono passati all’incirca dodici anni dall’ultimo episodio, Vent’anni dopo. Ancora una volta ritroviamo un D’Artagnan frustrato per la mancanza del titolo che rincorre da troppo: quello di capitano dei moschettieri. Accantonati i cardinali e le reggenti, si ritrova alle prese con un giovane re, Luigi XIV, ancora acerbo, già circondato da quel barlume di magnificenza destinato a renderlo grande, ma che ancora non riesce ad apprezzare a pieno il saggio e coriaceo ufficiale guascone.
“La devozione non è che una virtù, l’amore è una passione.”
Aramis e Porthos sembrano invischiati in un bell’intrigo politico. Stavolta sono coinvolti negli affari del ministro delle finanze francesi, Fouquet. Un uomo ricco e potente, figlio dell’epoca di Mazzarino che non sembra godere del favore di Luigi, che al posto del vecchio ministro vorrebbe piazzare l’attento e meticoloso Colbert. Al sovrano non resta quindi che mettergli alle costole il miglior uomo che ha disposizione: D’Artagnan. Ancora una volta i vecchi amici si trovano divisi, ma come sempre riusciranno a rimanere fedeli alle loro battaglie e al legame che li unisce.
“Sì è un uomo che amo e che ammiro: lo amo perché è buono, grande, leale; lo ammiro perché rappresenta per me il punto culminante della potenza umana; ma, pur amandolo e ammirandolo, lo temo e lo prevengo.”
Il giovane Re Sole inizia a splendere sulla sua corte ricca di personaggi. I figli della generazione de “I tre moschettieri” si prendono la scena.
Enrichetta, moglie del fratello di Luigi, svetta per la sua civetteria e la bellezza capace di blandire anche un re, per lei si battono giovani impavidi e carichi di passione.
“Gli uomini, che sono sciocchi in molte cose, lo sono soprattutto in questa: che confondono sotto la parola “civetteria” la fierezza d’una donna e la sua variabilità. Io sono fiera, vale a dire imprendibile; tratto male i pretendenti, ma senza alcuna pretesa sotterranea di trattenerli. Gli uomini dicono che sono civetta, perché hanno l’amor proprio di credere che li desidero.”
E infine abbiamo la tormentata storia di Louise de La Vallière, il cui arrivo a corte si rivelerà fatale per il suo destino: il Sole l’abbaglierà senza scampo. Ciò che credeva amore si rivelerà qualcosa di debole e verrà invece coinvolta in una storia di passione che si stenta a definire peccaminosa o sporca, nonostante le conseguenze che provocherà.
Ma dietro tutte queste trame d’amore e politica si muove qualcosa di ancor più pericoloso.
Aramis si lancerà nel suo intrigo più ambizioso di tutti e scoprirà un segreto in grado di cambiare un regno.
La famosa Maschera di Ferro emergerà potente dalle viscere della Bastiglia, spezzerà anime e creerà dubbi…
Dumas realizza un intreccio molto diverso da quello raccontato nel film con il famoso Leonardo di Caprio. Non c’è un re cattivo e tiranno da sostituire con un gemello buono. C’è solo un sovrano diviso tra giovinezza e potere, tra impeto e saggezza, che commetterà errori ma che sarà in grado di mostrare un’anima sfaccettata, intensa e bruciante proprio come il Sole.
I motivi che portano a volerlo sostituire con il gemello nascosto, sono molto più complicati di una semplice contrapposizione tra male e bene, e sono forse anche più subdoli.
Così come è molto più complicata la tresca amorosa che coinvolge Luigi, Louise e Raoul. Nessun tiranno che ruba l’amata al cavaliere senza macchia, solo un concatenarsi
di eventi e incomprensioni di gioventù che rendono il tutto così squisitamente vero e profondo da segnare il cuore.
“La felicità della donna che si ama, quando questa felicità viene da un rivale, è una tortura per un geloso. Ma per un geloso com’era Raoul, per questo cuore che per la prima volta si impregnava di fiele, la felicità di Luisa era una morte ignominiosa, la morte del corpo e dell’anima.”
I drammi si susseguono ai duelli, alle scene comiche, agli incontri con personaggi come Molière. La vivacità di Parigi si confonde con l’eleganza delle feste di Fontainebleau, e tutto è mischiato in maniera sapiente e preziosa, appassionante, come solo Dumas sa fare.
Su tutto spicca il rapporto tra D’Artagnan e il Re sole. Il capitano dei Moschettieri ha trovato finalmente un sovrano degno della sua altezza e Luigi, dal canto suo, più di una volta verrà scorticato dalla corazza dura, impavida e incosciente del vecchio guascone. Ammirazione e lealtà si alternano a duri scontri, feroci litigate che sfiorano la lesa maestà più di una volta, che danno vita a uno dei dialoghi più intensi e carichi di sentimenti di tutto il romanzo.
Il punto estremo dell’incontro tra queste due anime fiere:
“Volete degli amici o dei servi? Dei soldati o dei ballerini che fanno la riverenza? Dei grandi uomini o dei pulcinella? Volete che vi si serva o che vi s’inchini? Che vi si ami o che si abbia paura di voi? Se preferite la bassezza, l’intrigo, la codardia, ditelo, Sire; noi ce n’andremo, noi altri che siamo gli unici rimasti, dirò di meglio, i soli esempi del valore d’un tempo [….]
Affrettatevi e mandatemi alla Bastiglia con il mio amico; perché, se non avete saputo ascoltare il conte di La Fère, cioè la più nobile e la più dolce voce dell’onore; se non sapete ascoltare d’Artagnan, cioè la più franca e la più rude voce della sincerità, voi siete un cattivo Re e, domani, sarete un povero Re. Ora, i cattivi re si abboriscono; i poveri Re si scacciano. Ecco quello che vi dovevo dire Sire, ho avuto torto a spingermi a tanto.”
“La devozione non è che una virtù, l’amore è una passione.”

“Sì è un uomo che amo e che ammiro: lo amo perché è buono, grande, leale; lo ammiro perché rappresenta per me il punto culminante della potenza umana; ma, pur amandolo e ammirandolo, lo temo e lo prevengo.”
“Gli uomini, che sono sciocchi in molte cose, lo sono soprattutto in questa: che confondono sotto la parola “civetteria” la fierezza d’una donna e la sua variabilità. Io sono fiera, vale a dire imprendibile; tratto male i pretendenti, ma senza alcuna pretesa sotterranea di trattenerli. Gli uomini dicono che sono civetta, perché hanno l’amor proprio di credere che li desidero.”
di eventi e incomprensioni di gioventù che rendono il tutto così squisitamente vero e profondo da segnare il cuore.
“La felicità della donna che si ama, quando questa felicità viene da un rivale, è una tortura per un geloso. Ma per un geloso com’era Raoul, per questo cuore che per la prima volta si impregnava di fiele, la felicità di Luisa era una morte ignominiosa, la morte del corpo e dell’anima.”
“Volete degli amici o dei servi? Dei soldati o dei ballerini che fanno la riverenza? Dei grandi uomini o dei pulcinella? Volete che vi si serva o che vi s’inchini? Che vi si ami o che si abbia paura di voi? Se preferite la bassezza, l’intrigo, la codardia, ditelo, Sire; noi ce n’andremo, noi altri che siamo gli unici rimasti, dirò di meglio, i soli esempi del valore d’un tempo [….]
Affrettatevi e mandatemi alla Bastiglia con il mio amico; perché, se non avete saputo ascoltare il conte di La Fère, cioè la più nobile e la più dolce voce dell’onore; se non sapete ascoltare d’Artagnan, cioè la più franca e la più rude voce della sincerità, voi siete un cattivo Re e, domani, sarete un povero Re. Ora, i cattivi re si abboriscono; i poveri Re si scacciano. Ecco quello che vi dovevo dire Sire, ho avuto torto a spingermi a tanto.”
Il visconte di Bragelonneè una lunga cavalcata verso un addio. Quasi un passaggio di testimone tra i moschettieri e tutti i nuovi personaggi che compaiono nella storia.
Un finale il cui melodramma non si limiterà a strapparvi una lacrima, ma vi chiederà il cuore come ultimo tributo a questi quattro impavidi e indimenticabili personaggi.
Ognuno di loro quattro avrà un destino consono al loro carattere, e tutti loro saranno eternamente ricordati dalla frase finale del ciclo.
Come ho detto all’inizio, rendere omaggio a quest’opera è impossibile in così poco spazio. Troppe gli eventi e i sentimenti, ma vi assicuro che perdervi fra queste pagine vi donerà un’emozione intensa, indimenticabile.
Una penna quella di Dumas in grado di strapparvi l’anima con semplici dialoghi, frasi quasi innocue che pure racchiudono un pathos senza eguali.