L’inizio di un lungo percorso

Ci siamo. 
Aprile ha portato con se il miglior traguardo per ogni aspirante scrittore: la pubblicazione del proprio romanzo.
In realtà, per quanto mi riguarda, si tratta della seconda edizione, ma dato che la prima aveva più i connotati di una prova, possiamo affermare che l’edizione Youcanprint è quella ufficiale, dato che è anche dotata di codice ISBN.
Mi sembra quindi arrivato il momento di raccontare come è nata questa avventura.
C’è un proverbio arabo che recita “il destino ti aspetta sulla strada che hai scelto per evitarlo“. Potrebbe essere il riassunto della mia storia.

Non ho un chiaro ricordo di quando ho iniziato ad inventare mondi alternativi e personaggi immaginari, posso solo basarmi sui racconti dei miei genitori che generalmente iniziano sempre con una frase tipo “Stefania da piccola stava ore ed ore da sola a parlare con amici immaginari, è sempre stata in un mondo tutto suo”. Sembra quasi la descrizione di una un po’ toccata di testa, e forse lo sono. In realtà, ho sempre ricordato i miei giochi come delle invenzioni. Mi svegliavo al mattino e potevo essere una bambina di una tribù indiana, una tigre, una signora che andava a fare la spesa, un pirata o una maestra.
Dalle elementari in poi mi sono guadagnata il timbro “ha sempre la testa fra le nuvole” dato che, molto spesso, invece che seguire la lezione mi perdevo nei miei sogni ad occhi aperti che, la maggior parte delle volte, partivano da qualche aneddoto raccontato dalla maestra che io immediatamente assimilavo e trasformavo a modo mio, inventando storie e personaggi.
Ricordo che il tema è sempre stato uno dei compiti più odiati dai miei compagni di classe, mentre io non vedevo l’ora di prendere la penna e scrivere.

Crescendo il mio bisogno di inventare si manifestava con i film. Non ero mai contenta del finale e quindi ne scrivevo uno alternavo di mio gradimento, oppure continuavo la storia. Questo vizio me lo sono portato dietro fino alle superiori, periodo in cui ho scoperto i manga:  anche lì mi dedicavo a sviluppare storie alternative producendo quel che oggi si chiamano fan-fiction.

C’è da aprire una parentesi sul mio percorso di studi. Essendo anche una divoratrice di libri fin dall’infanzia e dopo aver abbinato questa mia passione a quella per la scrittura, mi ero fatta, intorno ai quattordici anni, l’idea che da grande avrei fatto la scrittrice e la giornalista. Per cui ero per scegliere un percorso orientato a materie umanistiche, ma, per assurdo, proprio il mio essere perennemente fra le nuvole ha portato i professori a indicarmi la strada opposta: quella della scuola tecnica-professionale. All’epoca non avevo un carattere troppo ribelle, per cui, se pur a malincuore, ascoltai i consigli dei professori e dei familiari, accantonando i mie propositi per il futuro.
Difatti, da allora, ho relegato l’attività scrittura a mero “hobby”. Attività che nascondevo con tutte le mie forze, senza parlarne con nessuno.

Finita la scuola, ho fatto il mio ingresso nel mondo del lavoro, dimenticandomi totalmente delle mie vecchie aspirazioni, cucendomi addosso il ruolo che era stato scelto per me: quello della diligente segretaria e seppellendo il mio lato creativo e originale, fatto di nuvole e cose astratte.
E’ stata un’esperienza piena di avvenimenti e incontri che hanno segnato per sempre la mia vita e che difficilmente dimenticherò. Nel mio solito stile in cui ogni cosa che faccio deve essere profonda e vissuta fino in fondo, in quei tre anni e mezzo ho dato tutta me stessa, conoscendo la soddisfazione professionale. A livello umano mi ha dato tanto, nonostante sia stata anche causa di un forte sconvolgimento interiore, che mi ha gettato in una sorta di depressione.
Un periodo in cui non riconoscevo più me stessa, su quel confine che separa l’adolescenza dalla vita adulta.
Ed è proprio laggiù, nel buio totale dell’anima ,che ho ritrovato quello che per me è il mio destino.
Finita l’esperienza lavorativa, ritrovata la mia voglia di andare all’università, ho iniziato un lungo percorso che consisteva nel riattaccare i cocci in cui mi ero divisa, e così è successo che un giorno del 2008 mi sono messa al computer e ho iniziato a scrivere.

Proprio sulla strada che, in teoria,  avrebbe dovuto portarmi lontano anni luce dalle mie ambizioni, ho ritrovato me stessa e l’unica cosa in cui mi sento davvero libera.
L’inizio di un’avventura, fatta di continue cancellazioni, ristesure, litigate interiori, scoraggiamenti. 
Per quattro anni ho lavorato al progetto, e solo verso la fine ho trovato il coraggio di parlarne ai miei amici e al mio fidanzato.
In genere si sconsiglia di far leggere il proprio lavoro agli amici, perché tendono a non essere obiettivi, ma se non l’avessi fatto a quest’ora la mia storia sarebbe ancora a marcire nel tanto chiacchierato cassetto.
Loro mi hanno dato una mano a credere in me, a trasformare il mio hobby segreto in qualcosa di più concreto.
Infine, ho deciso di pubblicarlo tramite le piattaforme di self-Publishing. Il perché di questa scelta, , è lungo da spiegare e l’approfondirò nel prossimo futuro.

Il percorso è ancora lungo, non so quante copie venderò, so solo che ho ritrovato ciò che so fare. Continuerò a scrivere e difficilmente smetterò, indipendentemente dai risultati ottenuti.

Nel film “Mangia, prega, ama“, qualcuno dice alla protagonista che la parola “scrittrice” rappresentava ciò che lei faceva nella vita non ciò che era.
Credo che sia profondamente sbagliato.
Io sono scrittrice perché è quello che sono, indipendentemente da quello che farò.

Fania

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